- Titolo: Taxi Teheran
- Genere: Drammatico
- Anno: 2015
- Durata: 1 ora e 22 minuti
- Regista: Jafar Panahi
- Attori principali: Jafar Panahi (per motivi di sicurezza il regista non ha rivelato il nome degli altri attori)
Prima di mettersi davanti allo schermo e guardare Taxi Teheran è necessario che sappiate qualcosa in più di questo film. Altrimenti potreste non comprendere fino in fondo l’importanza di questa opera. Il regista, nonché protagonista, è Jafar Panahi, iraniano e considerato dal Governo del suo Paese una voce anti-islamica, dunque da mettere a tacere. Nel 2010 il regista è stato arrestato e detenuto nel carcere di Evin. Quindi rilasciato, senza la possibilità di espatriare ma, soprattutto, con il divieto assoluto di girare film. Divieto che Panahi si è guardato bene dal rispettare.
Taxi Teheran è infatti il suo terzo film dopo l’arresto. Tutte queste pellicole sono state girate con mezzi di fortuna, attori non professionisti (mai accreditati nei titoli di testa o di coda per evitare loro problemi con la giustizia) e con il desiderio di disubbidire a una censura invadente e castrante.
Taxi Teheran: realtà o finzione?
Così per raccontare la sua nuova storia, Panahi si mette alla guida di un taxi per le strade di Teheran. Le telecamere montate sul cruscotto, ma anche le fotocamere degli smartphone, sono gli occhi attraverso i quali ci mostra la società iraniana di oggi. E i passeggeri che porta in giro gli permettono di parlare di argomenti “proibiti”, affrontati spesso in modo lieve ma non per questo poco efficace. Anzi.
Dalla pena di morte – che vede l’Iran al secondo posto al mondo nella triste classifica delle esecuzioni annuali – alle regole che le scuole di cinema insegnano (impongono?) ai loro studenti perché evitino di raccontare la realtà, se la realtà non combacia con i dettami della religione e della censura. Dallo spaccio di Dvd e Cd con film e album occidentali, che il Governo proibisce di guardare e ascoltare, alle costanti violazioni dei diritti umani di chi non si allinea con le direttive religiose.
L’abilità del regista è trasformare le restrizioni e i divieti nella sua forza. Perché ogni ripresa da un’angolazione improbabile, ogni personaggio seduto sul taxi – dalle vecchiette con i pesci rossi da liberare alla nipotina che studia cinema e riprende tutto con il cellulare – contribuisce a creare un film in cui il confine tra realtà e finzione è sempre più labile. Un film che è uno squarcio di libertà in un Paese che di libertà ne offre poca. E che ci mostra come il desiderio di realizzare qualcosa, di esprimere quello che si ha dentro, sia più forte di qualunque divieto. Il risultato è un’opera perfetta nella sua forzata imperfezione e premiata con l’Orso d’oro al festival di Berlino.
Il mio voto è: 8
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