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Google, Android e la privacy, ecco quali dati raccolgono sui nostri movimenti

Sulla caccia di Google, e non solo, a spiare le nostre vite, a superare i confini della nostra privacy, a tracciare e memorizzare i nostri movimenti reali e virtuali si è tanto parlato. E tanto se ne parlerà. Perché ci tocca dal vivo. Ma finora nessuno aveva pubblicato un’indagine vera e propria con focus su Android, complice, al pari di Search, Gmail, Maps e la lista potrebbe continuare all’infinito, di Google. A farlo è stata Quartz che ha usato tre smartphone Android diversi, nello specifico un Google Pixel 2, un Samsung Galaxy S8 e un Moto Z Droid, per tentare di individuare tutte le informazioni che, una volta immagazzinate sul nostro cellulare, vengono poi trasferite nei server di Google e usati a volte anche per fini di lucro.

Google e la privacy, la ricerca per difenderla

La ricerca condotta da Quartz per mettere in guardia noi e la nostra privacy ha usato tre smartphone Android che non erano collegati direttamente a una rete dati cellulare, ma su una rete portatile creata ad hoc per intercettare tutte le trasmissioni di dati (ricevuti e inviati) dagli smartphone in esame. Di seguito è riportata la lista delle varie tipologie di dati appartenti alla nostra teorica privacy trasmessi dagli smartphone ai curiosi server di Google:

  • Una lista delle tipologie di spostamenti fatti, categorizzata in base ai mezzi di trasporto (a piedi, in bicicletta, su binari)
  • La pressione barometrica
  • Quando si è connessi a una rete Wi-Fi e quando non lo si è
  • L’indirizzo MAC dell’access point a cui ci si collega
  • L’indirizzo MAC, l’identificatore, il tipo e due misure della forza del segnale di tutti i beacon Bluetooth nelle vicinanze
  • Il livello di carica dello smartphone, e se è in stato di carica o meno
  • Il voltaggio della batteria
  • Le coordinate Gps dello smartphone e l’accuratezza di questi dati
  • L’altitudine via Gps e l’accuratezza del dato

Google e la privacy, i risultati a doppia faccia della ricerca

Dalla ricerca e dalla lista di risultati emerge che è molto elevato il di informazioni private che molti utenti, del tutto ignari, condividono con Google. Il punto è che questi utenti aprono le porte della propria privacy, accettando di condividere la “Location History”, ovvero la cronologia degli spostamenti. Con riferimento a questa funzionalità il report sottolinea come basti attivarla su una delle app offerte da Google per regalare i nostri dati a Big G. C’è da dire che Location History è una funzione “opt-in”: può essere attivata a discrezione dell’utente, anche se Quartz ritiene che Google non spieghi in maniera chiara le implicazioni derivanti dall’attivazione della funzione. Di qui il fatto che moltissimi utenti non ne conoscano il funzionamento né le ripercussioni sulla loro privacy. Fatto sta che si può disattivare del tutto, ma è una scelta dell’utente che può così decidere di salvaguardare la propria privacy, perdendo però i molti servizi e suggerimenti utili che Google in automatico fornisce, dalle previsioni del traffico nei percorsi affrontati ogni giorno alle informazioni sulle località frequentate, ai consigli basati sui luoghi visitati in precedenza. Due facce della stessa medaglia.