I Google Glass non hanno certo ottenuto il successo che Big G si attendeva, ma l’azienda di Mountain View non sembra aver rinunciato al concetto.
Anzi, Google si è guardata in giro, acquisendo alcune startup così da portare avanti l’idea e portarsi in casa nuovi talenti e tecnologie. Due anni fa ha acquisito North, un produttore di AR Glasses, mentre ora ha comprato Raxium, che sviluppa display microLED per applicazioni AR e VR.
Il costo dell’acquisizione non è stato annunciato, ma si parla di una valutazione intorno al miliardo di dollari. La tecnologia dei microLED è simile a quella OLED in quanto non utilizza una retroilluminazione, ma pixel che emettono ciascuno luce propria. La differenza rispetto all’OLED è nei materiali utilizzati: il microLED è più luminoso, più efficiente dal punto di vista energetico e risolve i problemi di longevità (come il burn-in).
Tuttavia, l’utilizzo di microLED per tali dispositivi indossabili non è semplice. Raxium afferma di aver raggiunto pixel di appena 3,5 µm, molto più piccoli di un tipico pixel OLED, ma non ha ancora prodotto un dispositivo per il mercato di massa.
North aveva messo un prodotto sul mercato, i Focals 1.0, occhiali AR da 600 dollari (in realtà il prezzo al lancio era di 1.000 dollari, ma quasi subito ridotto). Dopo l’acquisizione Google ha chiuso il servizio su cui si basavano gli occhiali, rendendoli di fatto inutilizzabili.
Google vuole comunque restare della partita: così come anche Apple e Meta che hanno acquisito startup che lavorano nel campo degli occhiali AR. In molti ritengono che, nonostante le problematiche tecniche, gli occhiali intelligenti abbiano il potenziale per diventare un’importante categoria di prodotto. Qualcuno pensa, in questo caso forse in maniera eccessivamente utopica, che i Glasses possano addirittura sostituire gli smartphone nei processi di interazione degli utenti con il mondo digitale.
Tuttavia, la verità per ora è un’altra: tutti i prodotti arrivati finora sul mercato hanno fatto fiasco. Forse perché la tecnologia non è ancora matura, forse perché gli utenti non sono convinti che questo sia lo strumento corretto per interagire con gli altri dispositivi connessi, oltre che con la realtà virtuale.