Lo scorso 4 ottobre 2016 Google ha presentato in anteprima mondiale i suoi nuovi smartphone: Google Pixel e Google Pixel XL. Per la prima volta nella storia dell’azienda di Santa Clara, l’obiettivo è invadere la fascia alta del mercato e contrastare il dominio di Samsung e del suo Galaxy S7 (in versione “normale” e “edge”) e di Apple che di recente ha lanciato gli iPhone 7 e 7 Plus. Per farlo, Google ha puntato su una configurazione hardware di alto profilo, sviluppata in collaborazione con la taiwanese Htc, e su un’implementazione software che conta su Android 7.1 Nougat e, per la prima volta, su Google Assistant a livello nativo.
Dalle intenzioni alla realtà la strada è però tortuosa. Gli analisti di Digitimes Research ipotizzano infatti un numero di Pixel venduti, da qui a fine anno, non superiore ai 3 o 4 milioni. Poca cosa se messi a confronto con quanto spera di ottenere Apple: 80 milioni di pezzi nell’arco dello stesso periodo.
I dati – si tratta pur sempre di proiezioni – fanno riflettere, anche a fronte della ingente campagna pubblicitaria messa in campo da Google, sempre più decisa a proiettare la sua immagine nell’Olimpo dei player premium. Ciò non solo per quanto riguarda il software ma anche l’hardware. Soltanto la prima settimana di spot televisivi è costata infatti 3,2 miliardi di dollari, cui seguiranno altre iniziative volte a far toccare con mano i due smartphone ai potenziali acquirenti. Chi sarà comunque avvantaggiato da numeri sì significativi ma non da primato, sarà senza dubbio Htc. Il produttore negli ultimi anni non è riuscito a esprimere il suo potenziale e a imporre i suoi prodotti all’attenzione del pubblico come avrebbe voluto (e dovuto).