La fine del 2019 e il principio del 2020 rappresentano un periodo di estrema importanza per Huawei. L’azienda cinese, che lo scorso maggio ha dovuto subire l’iscrizione del suo nome nella Entity List americana, ossia l’elenco delle società che non possono intrattenere rapporti commerciali con le imprese americane, vive un momento assai delicato non solo sul fronte degli smartphone ma anche su quello delle reti, dove la questione privacy, se vogliamo, è ancora più pressante, ma dove Huawei è anche in grado di offrire un pacchetto che, per prezzi e servizi, è praticamente impossibile da eguagliare.
A dicembre Huawei ha festeggiato con un grande successo: l’India ha annunciato di aver deciso di consentire a “tutti i player” di partecipare ai test sul 5G. Fra i partner, oltre a Huawei, ci sono la svedese Ericsson, la finlandese Nokia, la sudcoreana Samsung e l’americana Cisco. I trials saranno condotti all’inizio del 2020, mentre il lancio delle reti dovrebbe avvenire nel 2021.
Il successo in India arriva dopo i promettenti sviluppi in Europa.
Telefonica Deutschland, una costola della spagnola Telefonica, ha scelto Nokia e Huawei per costruire la sua rete 5G. In precedenza, l’operatore svizzero Sunrise e Huawei avevano istituito un centro di ricerca 5G: inoltre la confederazione elvetica ha scelto di utilizzare anche le apparecchiature di Huawei per costruire le sue reti 5G. Complessivamente, secondo Nikkei Asian Review, la metà dei 65 contratti 5G della società cinese firmati a livello globale a partire dal 5 dicembre provengono da nazioni europee.
Ora toccherà al Regno Unito nei prossimi giorni decidere se consentire a Huawei di fornire le sue apparecchiature di rete; alcune aziende di telecomunicazioni del Paese, peraltro, stanno già utilizzando sistemi Huawei anche se in aree “non core” delle loro piattaforme 5G. Sarà interessante vedere quanto le pressioni esercitate dagli Stati Uniti, che hanno dichiarato più volte come Huawei e le sue apparecchiature rappresentino un rischio per la sicurezza nazionale, riusciranno a influenzare le scelte dei britannici.
Stessa situazione, quasi in carta carbone, per il Canada, area geografica a cui Huawei guarda con grande interesse, nonostante la “longa manus” dell’amministrazione Trump stia cercando di protendersi per influenzare le decisioni.
Al di là delle complesse faccende politiche, una cosa continua ad apparire chiara: il rapporto qualità/prezzo offerto dalle attrezzature di Huawei rendono l’azienda di Shenzhen un fornitore fortemente attraente, anche grazie alla capacità di fornire servizi end-to-end, che vanno dai chipset agli smartphone, e che pochi altri competitor possono vantare.
Nell’ambito della guerra commerciale in atto fra le due super potenze, se gli States attaccano, la Cina non sta certo a guardare. Sono recenti le pressioni esercitate dalla Cina sulla Danimarca per mezzo del suo ambasciatore che ha minacciato di stracciare un accordo commerciale con le Isole Faroe qualora la Danimarca avesse ceduto alle richieste di embargo americane. Una vicenda simile è accaduta pochi giorni dopo, quando l’ambasciatore cinese in Germania ha minacciato gravi “conseguenze” se l’ostracismo nei confronti di Huawei finisse per minare la posizione che il colosso di Shenzhen ha costruito nel Paese. “Se la Germania dovesse prendere una decisione che portasse all’esclusione di Huawei dal mercato tedesco”, ha affermato, “ci saranno conseguenze. Il governo cinese non starà a guardare“.
È difficile pronosticare quali ingerenze potrebbero essere più convincenti in questo braccio di ferro. Certo, se a livello mediatico le risposte di Huawei alle accuse americane sono fino ad ora state, nelle parole, ferme e composte e, nei fatti, quasi esclusivamente legali o giudiziarie (come riferisce Bloomberg vi è una causa pendente contro il Dipartimento del Commercio e una contro il Governo americano), in realtà l’azienda cinese non ha mai subito passivamente i colpi del suo avversario e ha da un lato azionato tutte le leve della politica e della diplomazia, dall’altro – sul fronte dei dispositivi mobili – ha accelerato un progetto massiccio, ingaggiando gli sviluppatori di tutto il mondo e mettendo sul piatto 1 miliardo di dollari a livello mondiale per costruire un ecosistema di app capaci, un domani, di slegarla dalla dipendenza da Google e dai suoi servizi,
La partita si giocherà tutta nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Naturalmente, non è escluso qualche colpo di scena dell’ultim’ora, considerata soprattutto l’umoralità dei soggetti in causa, Donald Trump su tutti. Proprio Trump, il prossimo 15 gennaio, dovrebbe firmare l’intesa commerciale Phase 1 raggiunta tra Pechino e Washington.
Dopo questa firma, tutto può succedere.