La tecnologia è piena di complessità, non è semplice né banale realizzare uno smartphone, un’auto o qualsiasi altro apparecchio elettronico. È un gioco di equilibri tra look, prestazioni e design. Quest’ultimo inteso nel senso più nobile del termine: non pura esaltazione estetica ma ricerca della migliore ergonomia d’utilizzo. Contesto che tende sempre più a esasperare le linee, ridurre gli ingombri, assottigliare gli spessori e cercare soluzioni a volte estreme.
Due motivi, un risultato
Questo comporta un costante aumento della complessità di produzione, per due motivi. Da una parte le prestazioni aumentano con progressioni e accelerazioni sovente maggiori rispetto a quello che il “pacchetto” possa contenere. Basti pensare agli smartphone. Noi li usiamo per fare chat, pubblicare foto e status su Facebook e rispondere alle chiamate e ascoltare la musica. Ma a ben guardare gli smartphone hanno una potenza paragonabile o superiore ai computer portatili e alle console di alcuni anni fa (provate a metterli alla prova sul serio e vedrete). Inserire al loro interno un tale concentrato tecnologico comporta, inevitabilmente, un incremento della complessità di gestione energetica, dissipazione del calore, realizzazione dei percorsi dati, ottimizzazione del segnale e così via.
Il secondo motivo è da ricondurre alle dimensioni del mercato. Designer e ingegneri svolgono un lavoro quasi artistico e molto “artigianale” di ideazione e sviluppo degli smartphone. Poi questi passano al reparto produzione, che lavora in stretto contatto con il team che si è occupato di dare vita al progetto. Ma ecco cosa succede. Per sopperire all’immensa domanda del mercato (si parla di milioni di smartphone distribuiti nei casi di più grande successo, tipicamente di decine di migliaia) si affidano a fornitori di terze parti. Questi ultimi si occupano di fornire i mattoncini che vanno poi a comporre il risultato finale: il dispositivo mobile che utilizziamo.
Smartphone: casi recenti
E qui possono nascere gli intoppi. Perché, per quanto il brand possa avere rigidi controlli di qualità, il volume produttivo può giocare a sfavore della affidabilità complessiva dello smartphone e del tablet nel suo complesso. All’aumentare incontrollato del numero di variabili, nonostante i rigidi protocolli dei brand per dominare l’introduzione di difetti di produzione, si possono verificare numerose combinazioni potenzialmente “pericolose”. Negli ultimi mesi abbiamo avuto diverse conferme di questi fatti. Da Huawei che si affida a terze parti per la realizzazione delle ottiche Leica, ai più recenti fatti con magnitudo e impatto nettamente superiore. Del Samsung Galaxy Note 7 ne abbiamo parlato diffusamente qui e la nostra posizione non cambia: un eccesso di ricerca del mostro. Ma anche i nuovi iPhone 7 non sono immuni, con buona pace dei soliti fan on-line che vivono di principi assoluti. Così i nuovi Melafonini sono stati sentiti fischiare in ricarica (il processore?), la ripresa del segnale dopo la disattivazione della modalità aereo è un po’ difficoltosa e gli auricolari con porta Lightning sembra possano non funzionare sempre bene.
Nella logica delle cose
Diciamolo una volta per tutte: capita. Tutto ciò rientra nella logica delle cose e non incide sulla qualità dello smartphone che, per definizione, è un prodotto perfettibile. Non a caso arrivano gli aggiornamenti per migliorare tutto. Il perché è già stato detto poco sopra. Lo ripetiamo? Questi dispositivi sono altamente complessi, altamente integrati, parecchio soggetti alla ricerca, spesso estrema, di un equilibrio tra bellezza, tecnologia allo stato dell’arte e spinta evolutiva. Per fortuna le aziende sono sufficientemente pronte ad agire. Dall’immane operazione di richiamo di Samsung all’analisi in tempo reale della soluzione per gli iPhone, fino all’update di Huawei per estendere le doti fotografiche esclusive del P9 e renderlo ancora più Leica. In questo contesto ci vedo della cura nei confronti dei consumatori. Perché “signore e signori” il vero pericolo, oggi, è passare per arroganti e presuntuosi.
Il mercato non perdona questi atteggiamenti e i brand l’hanno finalmente capito. Nessuno può sentirsi davvero al riparo dalla progressiva aridità nell’affetto e nell’interesse da parte dei clienti finali. Chi sottovaluta la pancia delle persone, e punta solo sulla testa, non è immune da scivoloni spesso molto dolorosi.