La competitività nei giochi free to play

Nei giochi, siano essi giochi tradizionali o videogames, la competitività è un fattore centrale. Il mettersi in competizione contro altri giocatori, al fine di ottenere un risultato migliore del loro, è connaturato in qualsiasi gioco o videogioco. Nel caso di questi ultimi, in particolare, l’acquisto del videogioco costituisce una motivazione ulteriore a ottenere prestazioni migliori dei propri avversari: l’acquisto del gioco sprona a vincere contro gli altri giocatori per dare allo stesso acquisto una sorta di giustificazione. L’acquisto del gioco costituisce un investimento da ripagare non solo con l’uso del gioco, ma anche e soprattutto con i risultati migliori giocando allo stesso. Negli scorsi anni alcuni fra i giochi più competitivi, basti pensare ai maggiori esponenti fra i titoli fps o i simulatori sportivi, giustificavano il prezzo di acquisto anche attraverso la promessa di un’esperienza di competizione ottimale: ritenendo la componente per giocatore singolo poco apprezzata, o comunque non apprezzata quanto quella per più giocatori, le risorse delle maggiori software house sono state ripetutamente dirottate sulla parte multiplayer dei loro titoli.

Una tendenza degli ultimi tempi, tuttavia, sembra andare in netta controtendenza a quanto detto: l’esplosione dei giochi free to play. Come indicato dallo stesso nome, si tratta di giochi che è possibile giocare gratuitamente: quindi, per logica, eliminando lo sprone costituito da quella sorta di investimento iniziale sostenuto per poter giocare. Ma è proprio così?

Partendo da uno dei free to play di maggior successo degli ultimi anni, Fortnite, sembrerebbe proprio di no. Il gioco, oltre che precursore dei free to play, è stato anche uno dei primi esponenti del genere battle royale, cavalcando l’onda che nel recente passato ha rivoluzionato il mondo dei videogiochi. La scelta della grafica cartoonesca e la frenesia del gameplay l’hanno reso un fenomeno fra i videogiocatori, e la scelta di limitare gli acquisti in game a contenuti estetici non si è rilevata penalizzante. A giudicare dal fatto che ne è stato organizzato un mondiale, la cui finale ha regalato al vincitore un grosso premio e che è stata seguita in streaming da un enorme numero di appassionati, la scelta di non prevedere che il gioco potesse essere acquistato non ha di certo influito sulla competitività dei videogiocatori. Si può poi pensare alla scelta del più recente Call of Duty. Prevede infatti un classico formato single player e multiplayer, acquistabile come da tradizione, ma con l’aggiunta di una modalità battle royale liberamente accessibile anche da parte di chi non abbia comprato il gioco base: Warzone. Anche in questo caso, giudicando dal numero di utenti, sembrerebbe che la scelta del free to play abbia pagato: lo scorso 10 aprile, dopo un solo mese di vita, erano stati superati i 50 milioni di giocatori. Allontanandosi dalla battle royale,  perfino in contesti nei quali la competizione è l’essenza stessa del gioco, come nel caso dei giochi di carte, esistono alternative che non prevedono un costo economico: gli appassionati di giochi di poker gratis possono per esempio approfittare della gratuità del gioco per mettere a punto le loro strategie e studiare a fondo le regole del poker.

Probabilmente, tuttavia, gli esempi migliori vengono dal mercato del gaming mobile. Qui infatti, la tradizione dei free to play è ben più risalente: l’offerta delle applicazioni è talmente vasta da meritare una sezione apposita, e gli sviluppatori hanno scoperto ben presto la necessità di evitare i costi di accesso, limitando le rendite delle loro creazioni a un momento successivo rispetto all’installazione. Anche in questo caso, la competitività non sembra assolutamente aver sofferto della vasta offerta di applicazioni gratuite: basti pensare a Pokémon Go, che sfruttando delle semplici meccaniche di lotta fra squadre di tre pokémon mette in competizione giocatori che nello scorso mese di maggio hanno generato ricavi che non si vedevano dai primi mesi di vita dell’applicazione. Un altro gioco gratuito che ha riscosso un enorme successo è Gwent: basato sul minigioco di The Witcher 3, vero e proprio fenomeno del 2015, è stato capace di attrarre numerosissimi giocatori anche sull’onda dell’entusiasmo per la serie tv di Netflix. Sia Pokémon Go che Gwent, a ben vedere, possono vantare alle spalle robuste esperienze classiche che hanno fatto conoscere il franchise in questione; non si può però dire lo stesso per Brawlhalla, versione mobile dell’omonimo titolo gratuito su tutte le piattaforme. Ispirata allo Smash Bros, l’applicazione può vantare un ampio numero di appassionati che si sfidano con l’unico scopo di spedire l’avversario fuori dallo stage.

In tutti questi casi, dunque, la gratuità non è mai un ostacolo alla competitività che i giocatori sono in grado di riversare sul gioco; al contrario, come nel caso del mobile, costituisce spesso incentivo a cimentarsi in giochi sconosciuti, ma potenzialmente di valore.

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Andrea Puchetti

Appassionato di tecnologia fin dalla nascita. Sempre in giro con mille gadget in tasca e pronto a non farsi sfuggire le novità del momento per poterle raccontare sui canali di Cellulare Magazine.