La vita è online. Da tempo, ormai, ma l’ultimo anno ha rappresentato un’importante punto di frattura. L’anno del Coronavirus ha stabilito un’esplosione notevole nella digitalizzazione e nell’online. Se prima la versione smart di noi stessi era soltanto affidata ai social e più in generale allo svago, ogni aspetto della vita è oggi caratterizzato dalla digitalizzazione. Si parte dal lavoro, con l’introduzione dello smartworking che ha sopperito e soppiantato in gran parte il lavoro dal vivo. E poi la scuola, con tutti i dibattimenti che ne conseguono sull’efficacia della Didattica a distanza e sulla salute psicofisica degli studenti. Insomma, la vita è online ed è sempre più alienante. La dicotomia dovere-piacere si configura, dunque, sul piano puramente tecnologico, nell’etere.
Queste abitudini condizionano particolarmente la vita dei più giovani, ancor prima che degli adulti. Nati sotto il segno dell’online, la generazione Z è un tutt’uno con social, digitale e apparecchi tecnologici. Con tutte le potenzialità che ne conseguono, tutta la modernità e la capacità di adattamento, ma anche con i limiti di crescita e salute che sono intrinsechi. I luoghi di aggregazione sono cambiati notevolmente e l’ultimo anno ha ridotto ancor di più le possibilità di socializzare in luoghi fisici. Oggi la vita è costantemente dietro uno schermo e sono i numeri a confermarlo. A sostenerlo è infatti lo studio condotto da Social Warning, associazione che da anni si batte per una corretta educazione digitale da assicurare ai giovani. È giusto che le nuovissime generazioni abbiano piena consapevolezza sì del potenziale che si cela dietro internet, ma anche e soprattutto dei rischi.
Perché l’eccessiva virtualizzazione della vita è effettivamente un pericolo concreto. Le stime della ricerca affermano che il tempo trascorso online mediamente da una persona è addirittura raddoppiato. Ad una crescita così esponenziale però non è stata accompagnata alcuna miglioria nella regolamentazione di alcune piattaforme. Il campione preso in analisi si riferisce ad una precisa fascia d’età: 12-16 anni. Il 22% di questi ragazzi ha dichiarato di restare connesso praticamente in ogni istante della giornata. Se prima il tempo dedicato alla scuola e allo studio corrispondeva con un allontanamento dalle piattaforme digitali, ora è il contrario: a funzioni online se ne aggiungono altre. Ciò non è corrisposto con un aumento della soglia di attenzione: uno studente medio ha una soglia dell’attenzione di circa 7 secondi. Probabilmente l’effetto di social network che stimolano l’eccessiva e drogata visione di nuovi contenuti in tempo reale. C’è più curiosità di vedere il contenuto successivo piuttosto che soffermarsi su cose fisse. A questi dati si accompagnano delle esperienze traumatiche che hanno coinvolto il 15% del campione. Il 35% ha subito forme di cyberbullismo, il 15% di revenge porn e l’8% ha subito tentativi di adescamento. Il dato sul revenge porn è particolarmente inquietante, considerando la fascia d’età presa in analisi. Sono cambiate anche le piattaforme digitali dove i giovani trascorrono il tempo: se fino a qualche anno fa Facebook era il simbolo dell’aggregazione online, ora la geografia è cambiata. TikTok è in netta espansione, lo usa il 55% del campione. Instagram è ancora il social di punta delle nuove generazioni (84.1%) mentre per la messaggistica il più diffuso – se non l’unico – è whatsapp (91%). In questo contesto si inseriscono anche nuove piattaforme che hanno assunto una prevalenza a partire dai mesi del lockdown: quelle che riguardano gaming e gambling, oltre alle app che aiutano ad abbattere – in questo senso – le distanze. Molto diffusa nell’ultimo anno, come nuove scoperta in corrispondenza del boom del gaming, Discord.