È un accusa pensante quella mossa ad Apple dal Presidente degli Stati Uniti Donald Trump. È arrivata ieri con un tweet, nella notte italiana, il tardo pomeriggio per l’America.
L’attacco, forte e diretto, suona più o meno così: “Aiutiamo in ogni momento Apple a fare business e in molte altre cose e, nonostante questo, l’azienda continua a rifiutarsi di sbloccare i telefoni utilizzati da killer, trafficanti di droga e violenti criminali. Dovrebbero fare un passo avanti e aiutare il nostro grande Paese, ora! Rendiamo l’America di nuovo grande!“.
Trump, fa riferimento a quanto accaduto lo scorso 6 dicembre quando quattro persone vennero uccise da un sicario saudita nella base della marina di Pensacola in Florida.
Le ragioni di Apple
Tuttavia, Apple non avrebbe rifiutato di aiutare l’FBI, almeno secondo quanto dichiarato dall’azienda di Cupertino.
In una dichiarazione, Apple sostiene: “A poche ore dalla prima richiesta dell’FBI il 6 dicembre, abbiamo prodotto un’ampia varietà di informazioni associate all’inchiesta. Dal 7 al 14 dicembre, abbiamo ricevuto sei richieste legali aggiuntive e in risposta abbiamo fornito informazioni tra cui backup iCloud, informazioni sull’account e dati per più account”.
Le critiche di Trump fanno però seguito a un appello del procuratore generale degli Stati Uniti, William Barr, che lunedì ha descritto le uccisioni di Pensacola come un atto di terrorismo e ha invitato Apple a fornire accesso a questi telefoni.
Ma, secondo Apple, solo nella giornata del 6 gennaio l’FBI avrebbe richiesto ulteriore assistenza per accedere a un secondo iPhone associato alle indagini, e solo allora Apple ha dichiarato di aver appreso che la stessa FBI non fosse stata in grado di accedere ad alcuno dei due iPhone.
A differenza di quanto accadde per il massacro di San Bernadino, Apple ha affermato che “continua a lavorare con l’FBI”, aggiungendo: “Lavoreremo instancabilmente per aiutarli a indagare su questo tragico attacco alla nostra nazione”.
I timori di Cupertino
Cupertino peraltro mantiene alcune posizioni da cui non si è mai spostata: creare una backdoor negli iPhone esporrebbe tutti i consumatori a un rischio troppo alto. In pratica, non si possono creare backdoor per intercettare i cattivi sperando che queste non vengano utilizzate da qualche malintenzionato per danneggiare i buoni.
Apple, dal canto suo, non comprende il motivo di tale pressing da parte del Presidente della Repubblica, poiché il passato ha dimostrato come l’apporto di Apple non sia necessario per sbloccare un iPhone, procedimento che potrebbe essere delegato dalla stessa FBI a società esperte in sicurezza che in passato hanno portato a termine l’unlocking. Il produttore non può invece permettersi di perdere la faccia davanti ai suoi clienti, pur in presenza di importanti interessi nazionali, ma nel contempo rischia un pessimo ritorno mediatico, passando per una società che copre, anche se non in via diretta, criminali, trafficanti di droga e terroristi.
Ed è proprio questa la pesante accusa pubblica mossa da Trump. Un tipo che, Huawei ne sa qualcosa, non molla la presa facilmente quando ti punta. E se davvero il Presidente fosse eccessivamente infastidito dal modus operandi un po’ pigro di Apple, la compagnia californiana potrebbe finire nei guai, sottoposta a nuova tassazione o, ancora peggio, osteggiata nella sua attività commerciale.