Che la privacy assoluta nell’era di Internet non esiste, ormai è cosa nota. Però ogni volta fa scalpore quando si scopre come le app che utilizziamo possano in realtà avere risvolti ben poco graditi. Smontata la questione Snapchat, secondo cui un’errata interpretazione della modifica dei termini di licenza avrebbe conferito al servizio la proprietà dei contenuti (foto, video e testi), ora tocca a Whatsapp.
I ricercatori dell’Università di Brno e New Haven avrebbero individuato il funzionamento dei criteri di crittografia della piattaforma, arrivando a capire quali informazioni sono trasmesse dall’app al server. Nella fattispecie, sono inviati i dati relativi al numero chiamato, all’orario, alla durata della conversazione e ai rispettivi indirizzi IP.
Precisato che per le chiamate Voip, quindi che passano dal Web, la quantità di informazioni memorizzate è necessariamente più ampia rispetto alle chiamate tradizionali, bisogna anche tenere in considerazione che Whatsapp si premuri qualora queste specifiche servano a livello forense.
Facendo un passo in più, sono stati individuati alcuni pericoli per la privacy. Innanzi tutto la possibilità che tali informazioni vengano utilizzati contro le persone da parte delle autorità, ma questo è un pericolo insito nell’utilizzo di Internet. Utilizzando Whatsapp, inoltre, Facebook aumenta e di non poco la quantità di informazioni relative alle persone.
Infine, sembra che il sistema di crittografia di Whatsapp non sia poi così inviolabile, quantomeno sulla base dell’attività svolta dai ricercatori universitari che l’hanno forzato.
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